Il PLISS 2010-2012 della Municipalità 5 Arenella Vomero

Per consultare il PLISS della Municipalità 5, i documenti allegati e tutti i contributi preparatori, clicca qui http://www.municipalitasociale.it/content.php?id=24

Una lotta che ci riguarda da vicino

Una lotta che ci riguarda da vicino
occupato il Maschio Angioino dagli operatori socioassistenziali

giovedì 17 dicembre 2009

Per un'Associazione Antiracket

Il Consiglio della Municipalità 5 Arenella-Vomero, nella seduta del 14 dicembre 09 alla presenza delle istituzioni cittadine e delle associazioni antiracket ha approvata unanimemente il seguente documento.

Volendo analizzare il rapporto tra poteri illegali e territorio, volendo in altre parole tentare una lettura geografica dell’attività criminale a Napoli, i quartieri del Vomero e dell’Arenella offrono certamente un quadro diverso dalle periferie urbane, dove l’esclusione sociale ha portato ad una sorta di “istituzionalizzazione” della delinquenza.
Diversità che però è altra cosa dal mito di quartieri immuni perché “bene” o viceversa “bene” perché immuni. Questo pericoloso luogo comune è contraddetto, tra l’altro, dalle difficoltà che nel nostro territorio ha incontrato finora il progetto di costruire una rete di solidarietà con la nascita di un’associazione antiracket e di uno sportello d'aiuto per la prevenzione dell'usura, presenti altresì in altri quartieri.
Se è rischioso negare il fenomeno, altrettanto fuorviante è non comprendere le specificità con cui esso si presenta nella nostra municipalità.
Particolarmente sottovalutato appare il fenomeno della pressione camorristica nei confronti delle imprese edili operanti su committenza privata e pubblica, che si esprime in forme nuove e più subdole attraverso l'obbligo di forniture e servizi. Forte perciò la preoccupazione soprattutto in relazione all'imminente avvio di cantieri di rilevante impegno economico.
Altrettanto pericolosamente sottovalutata è la presenza criminale attratta dal più grande centro commerciale europeo, caratterizzato dalla progressiva scomparsa di una sana imprenditoria storica e da un frequente mutare di ragione sociale di nuove imprese i cui costi elevati non sempre all’apparenza sono giustificati da presumibili ricavi. In tal senso la nascita del Centro Commerciale Naturale necessita vigilanza ed attenzione.
I paradossali esiti perversi delle stesse politiche di pedonalizzazione di alcune aree ristrette, con l’incremento esponenziale del valore degli immobili commerciali in strade divenute le vie dello shopping più frequentate della città, impongono una riflessione sull’urgenza di politiche di viabilità molto più coraggiose.
La decisione del Comune di Napoli, che ormai da tempo ha assunto un impegno diretto contro la diffusione dei fenomeni estorsivi ed usurai, e l’impegno delle Forze dell'ordine e della Magistratura, pur certamente positivi ed apprezzabili, appaiono ancora impari rispetto al quadro generale appena delineato.
Di certo le scelte del Governo non contribuiscono a rendere più incisiva la lotta contro la Camorra.
Non va in questa direzione la mancata risposta alla richiesta dell’Associazione Libera di alimentare l’Agenzia Nazionale per il rilancio delle attività sui beni confiscati e viceversa la scelta a favore di una legge per cui i beni sottratti al crimine vengano, in una partita di giro, ripresi dalla Camorra.
Preoccupante inoltre è la solitudine istituzionale in cui sembrano operare le forze di polizia cui vengono negate risorse e strumenti nel controllo delle attività bancarie e finanziarie e alle loro eventuali connessioni con le attività criminali.
Siamo tuttavia convinti che la sconfitta di pratiche camorristiche non possa prescindere da una mobilitazione delle coscienze, da una cittadinanza attiva e consapevole, dallo slancio ideale di coloro che vogliono combattere e non si arrendono alla sventura di farlo da soli nell’indifferenza dei più che, come dice Rita Borsellino, è peggio della complicità.
Occorre quindi che nascano reti solidaristiche di cittadini, che si diffonda il consumo critico il “non ti pago” dell’esperienza palermitana per cui l’onesto non paga il disonesto ma pretende di sapere chi lo contrasta insieme a lui, pretende che le istituzioni intervengano, accompagnino la ricostituzione di un tessuto comune nella relazione di fiducia imprese-cittadinanza-forze istituzionali. Occorre, in altre parole, riconfigurare il sistema-legalità rimettendo insieme le forze sane per creare un modello serio e coerente fondato sull'antimafia sociale.
La Municipalità 5, quale ente locale di prossimità e di partecipazione democratica, vicina ai cittadini, deve a sua volta assumere l’impegno di:

. svolgere un ruolo positivo per l’attivazione di uno sportello antiracket sul territorio e l’attivazione di punti di raccolta di denunce;
. di costituirsi parte civile in tutti i procedimenti giudiziari che vedono imputati per estorsione ed usura;
. di pubblicizzare un logo contro il fenomeno dell'estorsione e dell'usura per ogni iniziativa promossa o, in qualche modo, patrocinata dalla Municipalità;
. di svolgere una funzione positiva nella imminente costituzione del CCN, il cui statuto potrebbe affidare ai previsti Centri di Assistenza Tecnica un ruolo utile per prevenire fenomeni distorsivi;
. di vigilare affinché in tutti i cantieri edili sul territorio sia rispettato l'obbligo di rendere pubblici e visibili i dati relativi alla titolarità dell'impresa, agli importi impegnati e alle singole responsabilità;
. di svolgere una funzione propulsiva affinchè le Forze dell’Ordine e particolarmente la Guardia di Finanza, così presenti sul nostro territorio, possano essere particolarmente impegnate sul fronte dell'antiracket e dell'antiusura
. di avviare i lavori della commissione speciale, sulla tematica della lotta al racket ed all’usura, infine, di affiancare l’apertura di una sportello antiracket ed antiusura sul territorio collinare in vista della massiccia cantierizzazione e della prossima istituzione del CCN.

mercoledì 27 maggio 2009

venerdì 15 maggio 2009

Il Piano Sociale Regionale

La Giunta Regionale della Campania ha approvato il 16 aprile, su proposta dell'assessore alle Politiche Sociali Alfonsina De Felice, il Piano Sociale regionale, pubblicato sul BURC.

Il provvedimento, primo nel suo genere, attua la Legge 11 del 2007.Nel biennio 2009 - 2010 sono previsti finanziamenti pari a 165 milioni di euro, di cui circa 74 per il 2009.

Con queste somme, saranno realizzati i seguenti interventi:

- rafforzamento delle forme associative;
- istituzione del Sis (sistema informativo sociale);
- valutazione e monitoraggio della qualità dei servizi;
- accelerazione dell'integrazione tra sociale e sanitario;
- potenziamento dell'assistenza domiciliare integrata;
- rafforzamento della rete degli asili nido e dei servizi per la prima infanzia;
- definizione del programma triennale per l'integrazione dei cittadini migranti.

Al centro degli obiettivi del piano sociale ci sono il sostegno alle responsabilità delle famiglie, ai diritti dell'infanzia e dell´adolescenza, alle donne in difficoltà, alle persone con disagio psichico, e la promozione di politiche di contrasto alle dipendenze e alla povertà, per gli anziani, i disabili, i detenuti e gli immigrati.

Cliccando sul link seguente, è possibile scaricare l'intero documento:
http://burc.regione.campania.it/eBurcWeb/publicContent/ultimiBurc/lista.iface

giovedì 14 maggio 2009

Infanzia, Adolescenza e Condizione Giovanile

Gruppo di Lavoro su Infanzia, Adolescenza e Condizione Giovanile

Abstract
Il presente documento scaturisce dalle sollecitazioni maturate nella discussione del Tavolo tematico sulla Condizione giovanile del Tavolo Municipale del Terzo Settore della V Municipalità di Napoli e si basa sulla esperienza teorica e progettuale di numerose associazioni del territorio: “Operatori di Pace - Campania” ONLUS, ABIO, “Ridi Che Ti Passa”, “Ludobus Artingioco”, “PrimaverArte”, “LifeStyle”, “La Locomotiva” ed altre. Esso muove dall'assunto della condizione di marginalità ed esposizione che accomuna, in quanto presenze “nomadi metropolitane”, sia i giovani sia i migranti del territorio-obiettivo ed approda all'indicazione di sviluppare strutture e servizi di accompagnamento e mediazione, nonché di facilitazione e comunicazione. In quanto proposta complessiva e strumento di lavoro, il documento è da intendersi come traccia di riflessione, aperta ad ulteriori indicazioni e contributi.

Gruppo di Lavoro su Infanzia, Adolescenza e Condizione Giovanile

Inquadramento istituzionale
L'esigenza di sviluppare una ricognizione sui fabbisogni finalizzata all'attivazione di reti e servizi sociali sul territorio municipale nasce dall'implementazione della l. 328/2000 e dalla conseguente applicazione degli strumenti derivati, dal Piano Sociale di Zona (PSZ) al Programma Locale di Interventi e Servizi Sociali (PLISS).
In questo senso, sia in riferimento all'applicazione di competenze specifiche, sia in relazione alla sfida di attivare percorsi di inclusione sociale di ambito territoriale, il Comune e il sistema delle Municipalità sono chiamati a raccogliere un ampio novero di domande sociali ed allo stesso tempo farsi carico di una vasta gamma di compiti istituzionali, che vanno da quelli propriamente afferenti all'ambito del Terzo Settore, come dotarsi di un'interfaccia con la variegata galassia degli attori del cosiddetto “privato sociale” in quanto soggetti portatori di interessi ed attori locali dei processi di implementazione del “welfare municipale”, a quelli riconducibili più direttamente al proprio mandato istituzionale, in quanto legati alla programmazione delle politiche pubbliche per gli interventi sociali, nella prospettiva di facilitare l'inclusione ed inibire l'incidenza del disagio sociale, della marginalità e della devianza, peraltro fenomeni particolarmente incidenti sulla condizione giovanile negli spazi metropolitani.
Si tratta dunque di riconoscere la portata strategica di tale investimento: se la legge 328 disciplina le modalità di erogazione di servizi sociali “in rete” nella dinamica propria del coinvolgimento sociale/territoriale, è l'amministrazione pubblica ad essere chiamata al compito della programmazione partecipata delle politiche sociali. Questo aspetto, a sua volta, comporta una serie di fenomeni collegati: in primo luogo l'individuazione dello spazio istituzionale per questa attivazione, essenzialmente il Comune e, sull'ambito territoriale più ristretto, la Municipalità; in secondo luogo, non meno importante, la definizione delle (i)stanze per la definizione di siffatta programmazione sociale, in quanto luoghi della partecipazione e del dialogo sociale/istituzionale finalizzato alla concertazione delle politiche di cittadinanza sociale, quali, appunto, i Tavoli Municipali del Terzo Settore.
Questi ultimi, in linea con le premesse istituzionali sopra richiamate, vengono quindi a dotarsi di una duplice funzionalità, “in entrata” ed “in uscita”: nella prima direzione, in quanto punti di ricaduta e di sedimentazione del PSZ ed in particolare del PLISS, che disciplinano le forme dell'implementazione degli indirizzi pubblici finalizzati all'inclusione sociale; nella seconda direzione, in quanto vettori dell'attivazione e del protagonismo delle forze sociali vive del territorio (associazioni, cooperative e sindacati), nella loro soggettività di facilitatori dei processi d'inclusione sociale e di promotori di protagonismo democratico. In questo senso, l'articolazione del Tavolo Municipale del Terzo Settore (in particolare, l'individuazione al suo interno di luoghi di programmazione tematica, rispettivamente dedicati alla condizione dell'età senile, alle forme della diversa abilità, della marginalità sociale e dell'esclusione civile, e, non meno importante, alla condizione giovanile nelle sue diverse articolazioni) corrisponde a questa esigenza, di rilevazione del fabbisogno territoriale negli ambiti in oggetto e di identificazione delle buone pratiche rilevanti ai fini della calibrazione di un intervento sociale adeguato ed efficace.

Condizione giovanile
Premessa ineludibile di ogni forma di intervento pubblico destinato alla infanzia e all'adolescenza è la comprensione delle dinamiche soggettive e relazionali proprie dei giovani. L'adolescenza è un passaggio critico per l'acquisizione dell'identità adulta. Nella costruzione di questa identità assumono un ruolo fondamentale la famiglia, la scuola e il contesto sociale; su quest'ultimo è tuttavia più difficile interagire anche perché la quota di risorse da impegnare sarebbe ingente.
La scuola nell'età dell'adolescenza rappresenta il luogo centrale dell'apprendimento ma in molti casi non riesce a sopperire alle lacune ed i limiti del ruolo educativo e formativo che dovrebbero svolgere i genitori nell'accompagnamento e nella crescita dei loro figli. In prima approssimazione si può affermare che il fallimento scolastico e/o formativo è un indicatore rilevante di un disagio adolescenziale che molto spesso si traduce in una prospettiva di difficoltà e di insuccesso del giovane adulto. Certamente il ruolo della famiglia non può essere trascurato, visto che in molti casi esiste uno stretto legame tra le esperienze familiari e atteggiamenti di carattere deviante, ma questo aspetto va analizzato in sinergia con l'attivazione e/o il fallimento degli altri contesti relazionali nei quali si sperimenta il protagonismo giovanile, a partire dalla scuola e dal contesto amicale e sociale.
Tra i fenomeni di disagio che si manifestano in forma di devianza vi è il bullismo che spesso si afferma secondo modalità di gruppo in cui ogni soggetto svolge un ruolo e una funzione diversa. I fattori che sembrano maggiormente incidere nell'insorgere di questa dinamica nei gruppi, sono proprio da ricercarsi nel clima relazionale all'interno del nucleo familiare e tra gli stili di vita educativi messi in atto dai genitori. Lo sviluppo delle analisi scientifiche hanno portato all'elaborazione di metodologie e strategie di intervento di veri e propri programmi di politica scolastica globale che affrontano il problema.
Nella V Municipalità si vanno sempre più diffondendo fenomeni di bullismo, pur se ancora non costituiscono un macro-fenomeno; certamente la diffusione, in modo programmato ad ampio raggio, di questionari che consentano una rilevazione ed uno studio del fenomeno, partendo dalle scuole elementari, potrebbe aiutare, tanto i decisori pubblici quanto gli operatori sociali, ad una migliore comprensione del fenomeno stesso. E' importante intervenire al più presto con programmi di prevenzione del disagio adolescenziale per incidere nei processi di relazione.
A tale scopo, le figure degli psico-pedagogisti, dei mediatori e degli operatori sociali, collegate con le famiglie, dovrebbero coordinare e interagire come supervisori di programmi educativi e didattici praticati sul campo dagli insegnanti; programmi incentrati su autostima, empatia, fiducia, dialogo e cooperazione verso i soggetti a disagio sociale. Progetti rivolti anche ai genitori allo scopo di sensibilizzare le famiglie, attivando capacità di ascolto e comprensione dei segnali di difficoltà dei loro figli, fornendo loro gli strumenti cognitivi e comportamentali adeguati.
In questi programmi le Associazioni dovrebbero svolgere un ruolo di integrazione e contribuire con loro specificità a quel ruolo di aggregazione di cui sono portatori e che può offrire un contributo significativo alla costruzione di un contesto sociale più favorevole, a partire dalla nostra dimensione territoriale.

Fabbisogni sociali
Sulla base di quanto sin qui detto, sono due i livelli cui fare riferimento nella definizione di un piano di azione per favorire l'integrazione sociale della soggettività giovanile e per combattere fenomeni purtroppo sempre più diffusi, quali l'abuso di alcool e droga, l'espansione di pratiche violente e devianti, la frammentazione del panorama valoriale, cui la condizione giovanile, portata dalla diffusione di miti di contro-cultura metropolitana piuttosto che da condizioni materiali di esistenza sempre più precarie, appare fatalmente esposta.
Il primo livello riguarda l'infrastruttura sociale, vale a dire il novero di strutture, strumenti e servizi volti a favorire l'adesione giovanile ad un programma mirato di politiche sociali di intervento pubblico, sovente facilitate dagli attori del Terzo Settore. Ciò si traduce nella ricognizione dei punti di attivazione di tali istanze sociali: nello spazio - obiettivo (zona collinare di Napoli), dove forte è l'incidenza di famiglie con entrambi i genitori a lavoro ed altrettanto forte la domanda di inserimento pre-scolastico di bambini/e provenienti anche da altre aree (sia della cerchia metropolitana sia della cintura periferica), non esistono asili nido comunali (0-3 anni), si registrano otto scuole materne comunali e statali (3-6 anni) ed una conseguente cronica sovra-numerazione dei/delle bambini/e registrati rispetto a quelli/e iscritti (con il fenomeno dell'allungamento delle liste d'attesa per l'iscrizione scolastica).
Nel medesimo territorio, dove minore rispetto ad altri è l'incidenza della residenzialità giovanile temporanea (ad es. non particolarmente numerosa la presenza di giovani studenti e studentesse fuori-sede piuttosto che di giovani lavoratori/lavoratrici precari stabilmente residenti), si registra una sorta di “rafforzamento reciproco” tra i fenomeni del nomadismo giovanile e della de-spazializzazione sociale, rispettivamente legati alle migrazioni metropolitane che portano molti giovani di altri quartieri a riversarsi, soprattutto la sera o nei fine-settimana, sul territorio collinare (indice della profonda frammentazione e reversibilità della migrazione nomadica dalla periferia al centro), ed alla assenza di luoghi di relazione sociale per i/le giovani del quartiere, mancando gli spazi di aggregazione giovanile ed i centri di diffusione socio-culturale, intendendo tali gli spazi deputati alla circolazione delle culture e delle socialità in rebus, a prescindere dalla volatilizzazione di tali funzioni entro le logiche di mercato.
In altre parole, per trarre una prima sintesi, il quartiere (in generale: lo spazio metropolitano) è sempre meno ricettivo delle istanze del bisogno sociale dell'infanzia e della adolescenza e sempre più parcellizzato in una miriade di micro - centri commerciali ed altrettanti deserti dell'aggregazione comunitaria e della relazione sociale. A fronte delle politiche dell'intervento pubblico e dell'azione, sovente generosa e competente, delle forze del Terzo Settore, la condizione giovanile è dunque sempre più morsa dalla “perdita del centro” (riferito sia allo smarrimento di punti di riferimento sociali, sia alla diffusione di prassi contro-culturali eticamente squalificanti) e dall'incertezza nelle condizioni di esistenza (alto numero di giovani precari “a casa”, stretti tra un mercato del lavoro dominato da commercio e servizi e un ambito familiare relativizzato e opprimente, insieme ammortizzatore ed inibitore sociale).
Peraltro, è la stessa “spazialità residenziale” (si tratta infatti di un'area metropolitana a forte connotazione residenziale) ad essere interrogata da una miriade di altri fenomeni, molto specifici ed al contempo contraddittori: ci si riferisce ad un territorio che sempre più si viene configurando come una “città nella città”, con i suoi “centri” e le sue “periferie” interne, i suoi luoghi di elezione e i suoi centri di deiezione, dalle dimensioni demografiche di un medio centro ed una connotazione anagrafica prevalentemente senile, dalla fortissima incidenza dei luoghi di ospedalizzazione e dove, tuttavia, solo nel 2008 si è aperta una biblioteca municipale, dove si alternano spazi sociali labili e, sovente, condizioni abitative fatiscenti, dove si è registrata un'urbanizzazione caotica e dove si assiste a permanenti attraversamenti migranti, la dimensione stessa del “nomadismo migrante” (non essendo l'area collinare zona di residenza, ma prevalentemente area di attraversamento) che contraddistingue tanto gli immigrati quanto i Rom (fatta salva la presenza stabile di una quota di giovani donne immigrate est-europee, connessa alla domanda in servizi di assistenza che la specifica connotazione demografica ed anagrafica del quartiere comporta).
Ci si interroga su una zona metropolitana molto esposta, lacerata e contraddittoria, in cui gli attraversamenti umani sono caotici e le forme dell'alienazione sociale sovente vertiginose: è in questo brodo di coltura che maturano i germi dell'intolleranza e della diffidenza sociale, ma anche i virus della devianza e della violenza, cui a malapena la riposta sicuritaria può costituire un approdo sicuro o rassicurante.

Principi ispiratori
A fronte di tale gamma di problemi, si pone di fronte a tutti gli attori sociali ed istituzionali il compito di definire una strategia di intervento mirata, adeguata ed efficace, in linea con le migliori pratiche attivate, a livello territoriale, di programmazione pubblica ed intervento sociale, nonché con i fabbisogni sociali poc'anzi individuati, utili a comporre in via progettuale un'indicazione generale per interventi ed azioni.
Per accedere a tale livello, occorre tuttavia individuare alcuni principi ispiratori, in modo che la cosiddetta “composizione strategica” possa utilmente innestarsi all'interno di un profilo generale e definire un corrispondente impianto metodologico, in linea con il compito che le premesse date pongono: quello di affrontare le condizioni di marginalità e disagio che, nella loro combinazione esplosiva, costituiscono il presupposto della escalazione violenta e della conflittualità diffusa all'interno dello spazio metropolitano, con specifico (ma non esclusivo) riferimento alla soggettività giovanile ed alla presenza migrante. In questa definizione, utile strumento di supporto è costituito dallo stesso articolato della legge 328, essenzialmente in quelle sue parti nelle quali:
si definisce la modalità di interazione nelle politiche di inclusione sociale, specie nel senso dell'omogenea distribuzione socio-territoriale dei servizi quale istanza di ricostituzione di rapporti sociali positivi (art. 2)
si identificano i caratteri delle prestazioni sociali, specie nel senso del sostegno economico all'autonomia delle persone, l'integrazione dei soggetti marginali e/o esposti e l'intervento socio-educativo (art. 22).
Tutto questo offre, peraltro, il presupposto per alcune indicazioni programmatiche, o, se non altro, per una corretta impostazione progettuale di alcune misure di intervento possibile, fatta salva la capacità amministrativa e finanziaria da parte delle autorità istituzionali di consolidare tali istanze progettuali in percorsi di implementazione effettiva e di trasformazione sociale. E' la legge stessa, d'altro canto, ad individuare i principi di riferimento cui tale azione strategica e progettuale deve informarsi: universalismo, integrazione e sussidiarietà.
In prima istanza, si conferma il profilo universalistico dei servizi sociali e, in particolare, dei servizi di mediazione sociale e di mediazione culturale: intanto nel loro carattere di integrazione (“sistema integrato dei servizi sociali”) decisivo per tenere conto dell'articolazione del fabbisogno sociale espresso dai territori; e, in definitiva, nella prospettiva che tale carattere interviene a delineare, nel senso di promuovere un'inclusione sociale effettiva, consolidare la positività della relazione sociale e promuovere il benessere civile nelle sue molteplici configurazioni, aggredendo fenomeni di violenza, separazione e divisione all'interno della comunità territoriale.
In secondo luogo, si tende a valorizzare l'aspetto dell'integrazione connesso a tale “procedura sociale”, declinato, a sua volta, in tutte le articolazioni: integrazione economica, nel senso di favorire l'emancipazione dal bisogno, in particolare per le fasce deboli ed i settori svantaggiati; integrazione sociale, nel senso di promuovere, attraverso le politiche integrate dei servizi sociali, la fruibilità dei servizi a rete e la connotazione sociale della “municipalità collinare”; integrazione civica, nel senso della promozione di processi di inclusione, di sviluppo di relazioni sociali feconde, di facilitazione di un processo di armonia sociale sul territorio, necessario, sebbene di per sé non sufficiente, ad inibire escalazioni della violenza diffusa ed insorgenza di conflittualità civica.
Per questo è necessario attivare le risorse necessarie, non solo in termini di dotazione finanziaria (sulla base della l. 328/2000 e la l.r. 11/2007 sulla dignità), ma anche in termini di risorse umane, attraverso il ricco patrimonio di competenze ed esperienze attivate o attivabili dagli attori del Terzo Settore, in quanto facilitatori dell'attivazione e della promozione sociale (si pensi alle figure professionali a disposizione: operatore socio-assistenziale, mediatore culturale, operatore di pace, la cui interazione è una risorsa non derubricabile ai fini del contrasto alla violenza). Tali risorse non devono essere disperse, ma vanno piuttosto coordinate, in risposta ai fabbisogni reali; soprattutto si deve evitare la ridondanza negli interventi e la dispersione dei patrimoni. In tal senso, andrebbero recuperati gli esiti dei lavori preparatori alla definizione del PLISS di cui alle attivazioni di gruppo, promosse e sostenute dalla Municipalità, della primavera - estate 2008, fino a farli diventare un vero e propria programma o agenda delle “cose da fare”:
1. rafforzare l'area dell'accesso ai servizi mediante una maggiore inte(g)razione in rete dei servizi sociali offerti presenti sul territorio (asili, scuole, ospedali, sportello, assistenza, mediazione, facilitazione, comunicazione),
2. sviluppare le iniziative tese alla promozione e qualificazione della socialità giovanile, mediante percorsi di continuità per il recupero dei/delle giovani in difficoltà nonché per la diffusione di spazi di socialità ricca e autonoma,
3. incrementare le risorse strumentali e professionali a disposizione, in termini di qualificazione strumentale (risorse bibliografiche e telematiche) e di riconoscimento delle figure professionali ad hoc (albi delle figure professionali di riferimento: operatori sociali e socio-assistenziali, mediatori culturali e familiari, operatori di pace).

Nomadismo metropolitano
Da quanto illustrato, è possibile individuare nel cosiddetto “nomadismo metropolitano” e, a monte, nella stessa configurazione morale e materiale dei rapporti sociali che vedono protagonisti tali “attori nomadici”, uno dei campi di intervento decisivi per costituire condizioni positive di agibilità sociale e di consolidare un sistema efficace di welfare municipale, sulla base delle indicazioni del PSZ ed a partire dall'attivazione delle strutture istituzionali preposte.
Attori del nomadismo metropolitano sono sempre più, in particolare sul territorio collinare, i/le giovani e i/le migranti e non è un caso che nell'articolazione medesima del PSZ queste rappresentino due voci distinte tra le otto che ne compongono l'articolato, entrambe poi ricomprese all'interno di una terza area, quella delle azioni di sistema e del c.d. “welfare d'accesso” che allude alla dotazione strumentale ed operativa degli stakeholders nonché alle condizioni di fattibilità delle previsioni di intervento elaborate nel PSZ stesso (oltre alle misure di supporto ed inte-grazione nell'ottica dei “servizi a rete”). Ciò che contraddistingue le due tipologie sopra indicate di destinatari degli interventi è non solo la condizione anagrafica (gran parte dei migranti che attraversano il territorio sono essi stessi giovani, portatori di immaginari remoti e divisi ma di una condizione ideale ed anagrafica spesso, paradossalmente, comune) ma anche e soprattutto la condizioni di oppressione ed alienazione che, sebbene diversamente motivata ed agita, ne caratterizza tuttavia la permanente precarietà e, sovente, la disperazione esistenziale.
L'incidenza sociale delle due tipologie concorre da sola a segnalarne la rilevanza, anche in termini di bisogni sociali e di priorità d'azione. Se la Regione Campania è quella in cui si registra la maggiore percentuale di giovani (22% sotto i 18 anni) tra tutte le regioni italiane, nella sola città di Napoli risiedono oltre 200 mila giovani (sempre sotto i 18 anni) ed una quota assai significativa di giovani tra i 18 ed i 30 anni per i quali andrebbe approfonditamente indagata la provenienza familiare, la collocazione di studio e lavorativa, le condizioni sociali ed esistenziali.
A fronte di un'incidenza demografica della popolazione giovane minore nel territorio collinare rispetto a quella riportata in altri quartieri della cintura metropolitana, tale popolazione giovanile esprime condizioni e bisogni specifici. Intanto, come anticipato, assai forte è il nomadismo metropolitano, sia in entrata (il gran numero di giovani che si spostano dalle periferie alla zona collinare attivando specifiche, non sempre accettabili, dinamiche relazionali, dallo shopping al week-end, in determinati altri casi per lavoro, sovente nel commercio e nei servizi), sia in uscita (l'altrettanto significativo numero di giovani, soprattutto studenti e studentesse universitari, che si spostano dal territorio alle destinazioni di studio e, talvolta, di lavoro, nonché la particolare rilevanza di giovani che o si ritirano nel recinto domestico, sottraendosi alla vista e al giudizio sociale, o si esiliano verso destinazioni altre alla ricerca di soluzioni alle problematiche che li attraversano, come ad esempio quelle connesse con le dipendenze), al punto da sollecitare, in ambedue le direzioni, misure significative di mediazione, onde facilitare l'accesso al territorio, col suo portato di funzioni e servizi, nonché da migliorare l'integrazione sociale e prevenire fenomeni di incomprensione, intolleranza e violenza, purtroppo tendenti a divenire sempre più diffusi, pervasivi e, addirittura, “esemplari”.
In definitiva, è la connotazione stessa di tale panorama urbano ad offrire un quadro della disgregazione dei legami comunitari di cui pure la popolazione giovanile avverte urgenza: la mancanza di luoghi di aggregazione reali e di spazi di socialità viva, sottratti alla logica consumistica, rappresenta sul territorio una vera e propria emergenza, sia perché condanna ad una sorta di monotona ripetitività della relazione sociale, sia perché riproduce un immaginario sotto-culturale profondamente condizionato dalla bulimia delle connotazioni formali e dalla pochezza delle relazioni vive, in cui possano attivarsi percorsi formativi/auto-formativi nonché esperienze umane ed intellettuali significative.
Discorso, per alcuni versi, simile potrebbe essere realizzato in riferimento alla condizione migrante, rispetto alla quale non si assiste, sul territorio-obiettivo, ad alcuna emergenza sociale né ad una particolare incidenza in termini abitativi e residenziali (fatto salvo il caso di donne immigrate dell'est europeo ed uomini immigrati dell'Asia meridionale), ma che si ripercuote in termini, anche in questi casi, “nomadici”, con gli immigrati dall'Africa dediti al commercio minuto in strada e, sovente, Rom dediti ad attività marginali di intrattenimento o di accattonaggio. E' interessante notare che, a fronte di una presenza stimata di circa 25 mila immigrati e poche migliaia di Rom presenti all'interno del territorio metropolitano di Napoli, il 70% di questa galassia ha una età compresa tra i 18 e i 50 anni, con una prevalenza della presenza femminile, almeno nella V Municipalità, testimonianza dell' orientamento che la domanda “di mercato” imprime al flusso migratorio interno e alle caratteristiche migratorie di destinazione.
Questo aspetto lascia intendere il vero bisogno di cui si avverte l'urgenza: quello di percorsi di facilitazione, mediazione ed accompagnamento, al fine di liberare la presenza immigrata sul nostro territorio dal vincolo “territorialista” delle condizioni di mercato cui viene sottoposta; nonché di percorsi di orientamento, qualificazione ed inserimento lavorativo, su cui l'intera gamma degli attori sociali e, soprattutto, istituzionali dovrebbe investire il massimo dell'attenzione e delle risorse, onde inibire insorgenze di marginalità, esclusione sociale e violenza diffusa di cui, bandendo “sociologismi” di sorta, proprio gli immigrati sono talvolta, direttamente o indirettamente, protagonisti.
Chiaramente, si tratta di un lavoro gigantesco cui corrispondere: da una parte il “lavoro culturale” orientato al superamento del pregiudizio e dello stereotipo, che talvolta sfocia nel vero e proprio razzismo e che tende anche ad incrementare, in ragione di un abito mentale ormai consolidato e di pericolose campagne mediatiche, una sorta di disperata corsa al “capro espiatorio” (sovente causata da una inquietante “guerra tra poveri”, combattuta lungo le linee dei fronti della disperazione e della noia); dall'altra, il “lavoro sociale”, finalizzato alla destinazione di risorse umane/professionali e materiali/finanziarie per prevenire l'insorgenza violenta, disciplinare un controllo del territorio non esclusivamente “poliziesco”, facilitare percorsi di socializzazione e di relazione trans-culturale nell'ottica, contemporanea ed europea, dell'integrazione socio-culturale e della società inter-culturale.

Fiducia civica
Il tema della sollecitazione socio-culturale e della promozione del dialogo inter-culturale è oggi considerato, nella stagione della “guerra permanente” seguita all'11 settembre 2001, tema-guida nell'agenda istituzionale. Nella consapevolezza che la politica culturale in generale e la strategia di consolidamento dei servizi sociali, in particolare, non possano risolvere tutti i problemi di un dato contesto, i documenti degli organismi preposti non perdono occasione per ricordare che la leva culturale, costituendo potente mezzo di relazione, è fattore da tenersi nella giusta considerazione, sia nella prevenzione dei conflitti, specie nella sfera micro e meso propria dei conflitti interpersonali e comunitari, sia nella riconciliazione.
Tali piani di azione intendono promuovere il dialogo interculturale e la comprensione reciproca attraverso i diversi contesti generazionali e le differenti comunità culturali al fine di prevenire i conflitti anche attraverso una strategia di azione su basi antropologico - culturali, che guardi alla sedimentazione di buone pratiche nel territorio metropolitano. Essendo quella del confronto interculturale una tematica globale nel modo post-11 settembre, le dinamiche della progettazione orientata alla promozione della reciprocità interculturale assumono un campo di applicazione estremamente vasto, che va dalla riconciliazione sociale alla trasformazione positiva, esplicitando il nesso tra intercultura, confidence building e conflict transformation.
E' per questo che è necessario ricordare l'esigenza di applicare metodologie innovative, entro le quali ricercare approcci partecipativi, inclusivi ed integrativi, in grado di soddisfare un'istanza di “reciprocità”, in particolare a vantaggio dei soggetti maggiormente vittime del corto-circuito della violenza intercomunitaria e della segregazione sociale, quali le donne e i giovani, in generale, che per la loro particolare “visione” del mondo, sono più distanti da schemi universalizzanti e segregativi propri, viceversa, dell'universo concettuale maschile/adulto. La “determinazione nel particolare” della donna e l'universalismo pan-soggettivistico del bambino, infatti, mal si conciliano con le logiche di sopraffazione che tendono a riprodursi in tutti gli scenari attraversati da violenza ed oppressione e rappresentano una risorsa fondamentale ai fini della trasformazione strutturale dei contesti sociali come degli universi semantici, nella direzione di una nuova e più comprensiva idea di “universale”. I punti-chiave di un'azione di promozione civile basata sull'integrazione socio-culturale applicata all'universo semantico delle comunità giovanili e comunitarie sono:
promuovere la collaborazione tra i soggetti sociali e gli universi della cultura e della formazione (promozione sociale), per recepire un'esplorazione pluralistica delle dimensioni socio-culturali dei popoli d'Europa;
sostenere iniziative entro un ampio campo di forze socio-culturali per promuovere una consapevolezza effettiva della diversità culturale, dentro e fuori i territori metropolitani;
incoraggiare il coinvolgimento di giovani e studiosi, favorendo lo sviluppo di connessioni e la circolazione delle buone pratiche, affinché non venga meno, al lavoro “sul campo”, l'opportuno background intellettuale.
Nel quadro dell'impostazione strategica di una pianificazione per servizi sociali orientata in chiave “integrativa”, l'obiettivo generale deve consistere nella messa in condivisione del patrimonio specifico di una formazione socio-culturale ovvero di un contesto generazionale, attraverso la promozione di spazi di socialità per i/le giovani del territorio metropolitano ovvero la messa a disposizione di servizi di facilitazione, accompagnamento e mediazione per le comunità immigrate, nella prospettiva in base alla quale è doveroso “conoscere per comprendere” e necessario prevenire le sacche di marginalità e degrado in cui si alimentano i fenomeni corrosivi e violenti nel tessuto sociale; viceversa, l'obiettivo specifico risiede nello sviluppo di ponti di fruizione socio-culturale integrata mediante attività di conoscenza, documentazione e sperimentazione attraverso le quali arricchire il catalogo di buone prassi a disposizione delle amministrazioni pubbliche e degli stakeholders sociali.
Finalità di tale attivazione per servizi in rete è quella della valorizzazione della specificità giovanile e della lotta contro il pregiudizio culturale attraverso la “conoscenza”. Ciò è tanto più rilevante, tra le comunità allofone, nel caso del popolo Rom che, insieme con il popolo ebraico, costituisce il gruppo più sistematicamente reso oggetto di riprovazione, emarginazione e segregazione, al punto che è possibile rintracciare a loro riguardo, in ambito storico e quotidiano, tutti i cinque livelli dell'espressione pregiudiziale di cui alla casistica formulata da Allport:
1) la diffamazione (“I Rom rubano”),
2) la separazione (le baraccopoli-ghetto ai margini delle periferie urbane),
3) la discriminazione (l'esclusione dall'accesso a servizi pubblici, in particolare la scuola),
4) la violenza (i ripetuti episodi di intolleranza, aggressioni e lesione a persone e beni) e, non ultimo,
5) lo sterminio (quello perpetrato dal regime nazista tra gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso).
Si ritiene altresì che i vettori di relazione, basati sull'impostazione socio-culturale propria della ricerca-azione, possano offrire un contributo importante non solo al miglioramento delle condizioni di “prossimità” tra le comunità migranti e quelle residenti, ma soprattutto alla riduzione delle circostanze che alimentano i fenomeni di intolleranza ed emarginazione. Nel contesto metropolitano partenopeo, si verificano cinque delle dieci condizioni di insorgenza del pregiudizio razziale individuate, nella fonte citata, da Allport, trattandosi di un contesto che:
1) amplifica le separazioni per linee etno-comunitarie sulla base delle differenze religiose e linguistiche;
2) moltiplica l'incomprensione tra sostenitori del “nuovo” (integrazione) e del “vecchio” (separazione);
3) non promuove una completa e diffusa informazione sui gruppi-target;
4) non è in grado di gestire l'incremento demografico che determina la “paura del numero” e, non ultimo,
5) alimenta, attraverso l'educazione, una cultura sostanzialmente “etno-centrica” (euro-centrica) che induce a guardare all'“altro-da-sé” con ostilità piuttosto che con rispetto. [G. W. Allport, La natura del pregiudizio, Firenze, 1973]
In questa situazione sociale tendono, evidentemente, a moltiplicarsi i fenomeni di intolleranza ed i casi di violenza ai danni delle comunità altre. Nel caso dei Rom, in particolare, già molti anni prima delle recenti insorgenze legate ai noti fatti di cronaca, sui quali pure nessun “sociologismo” è tollerabile, studi statistici hanno potuto riscontare una percezione sociale diffusa di “diffidenza” e/o “ostilità”. E' facile immaginare che una condizione psico-sociale di questo genere possa generare conflitto sociale (nella dimensione meso tipica delle comunità territoriali) e, su scala generale, fare da detonatore per conflitti internazionali di più ampia portata (nella dimensione macro dei conflitti di tipo “etno-politico”), nel senso di creare le condizioni per la diffusione del pregiudizio, la costruzione dello stereotipo e, attraverso questo, la raffigurazione dell'altro come “nemico” o “minaccia” all'ordine.
E' in tal senso che l'attivazione, da parte delle autorità pubbliche e, nel quadro del PSZ, del Tavolo del Terzo Settore come forum di elaborazione e proposta, può iscriversi (anche) nell'ambito dell'intervento culturale a destinazione sociale, in continuità con l'azione di promozione sociale propria del mandato del cultural peace-building. Se cultura, in senso antropologico - culturale, è il sistema di pratiche e valori espressi da un determinato gruppo sociale, il servizio di integrazione socio-culturale, confrontandosi con la “diversità” nelle sue variegate articolazioni, punta a de-frammentare una costruzione narrativa di senso e dis-articolare due condizionamenti negativi: quello dell'“esclusivismo culturale” e quello, altrettanto insidioso, del “pregiudizio euro-centrico”. Il primo consiste nell'approccio per cui “comportamenti e concezioni degli strati subalterni vengono artificiosamente rigettati fuori dai confini della “Cultura” perché non collimanti con gli atteggiamenti e i valori dei ceti dominanti “colti””. [A.M. Cirese, Cultura egemonica e culture subalterne, Palermo, 1973]
Analogamente, il pregiudizio euro-centrico conduce alla falsa convinzione per cui tutto quanto è al di fuori dello schema concettuale europeo sia “privo di cultura”. Infatti, se “cultura” è sistema di pratiche e di valori, nel senso che costituiscono un modo di concepire la vita e di “vedere” il mondo, allora essi rappresentano una datità culturale che non si può ignorare, ma con la quale è necessario confrontarsi nella misura in cui la sua conoscenza accresce la nostra consapevolezza storico-sociale e, dunque, la nostra stessa capacità di orientamento nella società moderna, che è società globale, interconnessa e “liquida” [Z. Bauman].
Tale itinerario consiste nell'offrire un contributo allo sviluppo culturale delle nostre società, indirizzandole, secondo la felice espressione di F. Ferrarotti, “oltre il razzismo”: tale orizzonte passa, in quanto mediata dalla conoscenza dei fenomeni socio-culturali, attraverso l'acquisizione di una visione della cultura che:
a) sia di tipo multi-etnico (la scelta progettuale della condivisione nell'ambito territoriale di riferimento)
b) riservi il posto dovuto alla scienza e tecnica con i più recenti sviluppi delle tecnologie della comunicazione (mediante l'adozione della documentazione audio-visuale come strumento privilegiato di trasmissione) e
c) ponga in evidenza che nessuno sviluppo tecnologico può compensare una comunità umana della perdita (specie per quanto concerne Paesi e popoli “marginali” o “periferici”, sempre più sottoposti all'imperialismo culturale europeo e soprattutto nord-americano) di un sistema di valori capaci di “dare senso” all'esistenza degli individui. [F. Ferrarotti, Oltre il razzismo. Verso la società multi-razziale e multi- culturale, Roma, 1988]
Trasformazione sociale
Il sistema di welfare (municipale), in quanto laboratorio di cittadinanza, è una delle matrici della costituzione materiale del Paese: essenzialmente per il suo ruolo di agente della costruzione repubblicana e vettore di convivenza democratica, laica e pluralistica. Anche solo per questo, è difficile isolare un carattere prevalente dell'universo-welfare, prescindendo dalla sua valenza assistenziale piuttosto che dalla sua natura di presidio di legalità.
Il solo binomio democrazia-legalità meriterebbe un approfondimento, in considerazione della capacità, propria del sistema dei servizi sociali, di attivare proficue sinergie sui territori, sovente di rispondere alle emergenze dei contesti su cui insiste (dalla dispersione scolastica all'integrazione dei/delle bambini/e stranieri) e di promuovere l'unità materiale dei territori metropolitani, attraverso l'applicazione di percorsi formativi ed esperienziali, che innervano di senso le interrelazioni tra territori, troppo spesso attraversati da infiniti “particolarismi”.
Tuttavia, la proiezione del sistema di sicurezza sociale - come presidio di civiltà e spazio di attraversamenti molteplici - vi conferisce una connotazione che va al di là del suo semplice darsi come agenzia assistenziale e vi attribuisce alcuni compiti decisivi per la qualità democratica della convivenza civile. Tra questi, certamente quelli connessi all'interazione con il territorio e all'interpretazione di uno spazio sociale in perenne mutamento, in cui non solo si diversificano i bisogni sociali e culturali, ma soprattutto si moltiplicano le presenze “altre”, spesso all'origine di diffidenze, talvolta persino di ostilità.
E' dentro questa cornice che vale la pena soffermarsi sul portato proprio del welfare municipale come agente della convivenza civile e vettore per la cosiddetta “trasformazione dei conflitti” [J. Galtung]. Si tratta, chiaramente, di “micro-conflitti”, di tipo interpersonale e di ambito locale, sottovalutare i quali, tuttavia, sarebbe un grave errore, sia perché rappresentano una spia della qualità delle relazioni umane, sia perché alludono alle trasformazioni delle nostre società, sempre più intensamente chiamate a confrontarsi con le sfide delle presenze migranti, dello scambio interculturale e della convivenza multi- etnica. Ciò non significa che la presenza migrante sia di per sé portatrice di micro-conflittualità ma, più semplicemente, che la carenza della “risposta educante” ed il fallimento delle politiche di integrazione possono spingere a moltiplicare le tensioni che alimentano la disarticolazione dei tessuti relazionali.
Se i paesaggi sociali sono in rapida trasformazione, come dato oggettivo della contemporaneità, ciò è dovuto non solo alla modificazione della struttura materiale ed all'incidenza delle tecnologie dell'informazione (in tutti i loro condizionamenti e sfaccettature), ma in particolare alla moltiplicazione delle dinamiche di incontro con l'“altro-da”. Lungi dal configurare l'eccezione, la presenza migrante è ormai stabile sui nostri territori ed eccede la portata di qualunque logica “emergenzialista”. Essa si inserisce nelle contraddizioni sociali del nostro tempo; muta il panorama umano negli attraversamenti quotidiani della metropoli; sfida, in definitiva, la capacità del welfare di farsi luogo di accoglienza ed integrazione, agente della diffusione dei valori repubblicani di con-vivenza e luogo della formazione della cittadinanza multi - culturale che guarda al futuro. In questo senso, il sistema integrato dei servizi sociali agisce come interfaccia istituzionale “di prossimità”: l'istituzione-sociale è la prima con cui la presenza migrante si confronta e certo la più esposta alla sfida della relazione sociale- multiculturale
Il fatto stesso dell'interazione con istituzioni sociali complesse permette ai “nuovi” e “futuri” cittadini di acquisire la percezione della propria soggettività sociale, non solo in termini di fruizione di un servizio bensì in quelli, ben più esigenti, di titolarità di diritti, e predispone il terreno di alcune conquiste sociali e culturali decisive, come quelle connesse con l'accesso sostanziale ai servizi e con lo sviluppo effettivo delle pari opportunità per tutti e tutte. In questo senso, la “socialità” è terreno proprio della sperimentazione di laboratori di mediazione e di convivenza e, per questa via, vettore della trasformazione dei conflitti “di prossimità”. Scrive il Kymlicka:
il fattore-chiave per determinare la riuscita dell'integrazione di gruppi di immigrati non sta nelle differenze di cultura che intercorrono tra il paese d'origine e il paese di destinazione, bensì nelle politiche di accoglienza del paese di destinazione; l'integrazione o l'esclusione degli immigrati dipende, anziché da differenze culturali o livelli di istruzione, dalle politiche pubbliche in fatto di insediamento e di cittadinanza. [Cfr. W. Kymlicka, Le sfide del multi- culturalismo, Il Mulino, Bologna, 1997; p. 205]
Chiaramente si tratta di una sfida emergente, propria delle “società complesse”, che richiede l'opportuna messa a valore delle sperimentazioni positive (“buone prassi”) di cui pure il sistema sociale italiano è ricco, e che, anzitutto, interroga il mondo-welfare e ciascuno degli operatori “del” e “nel” sociale. Il lavoro di mediazione orientato alla trasformazione dei conflitti è quello sviluppato dal personale che opera “nel” sociale con competenze e professionalità adeguate e riconosciute, agendo al contempo “nei” conflitti e “sui” conflitti che nel mondo-welfare si vengono a sviluppare soprattutto in rapporto alle controversie intra-comunitarie ed inter-comunitarie.
Il compito dell'operatore (in particolare, secondo la definizione in uso, dell'“operatore di pace” nel senso di “mediatore” dei conflitti) è quello di enucleare una gamma di valori e diritti condivisi, a partire dai diritti umani universali, su cui articolare rappresentazioni adeguate delle diversità e proporre risposte al bisogno di comunicazione positiva tra diversi: senza temere il confronto con l'altro e senza “sovvertirlo” con imposizioni etno-centriche.
In tal senso, la messa a valore (soprattutto in ambito educativo) della cosiddetta “esperienza interculturale” rappresenta un passaggio-chiave di quel “decentramento” cognitivo ed emotivo necessario ai fini della predisposizione all'ascolto ed alla mediazione:
si tratta dell'esperienza della vita quotidiana ed assume per tutti, non solo per gli operatori dei servizi dediti alle questioni legate all'immigrazione, un ruolo centrale e paradigmatico nella vita sociale di ogni persona. [Cfr. M. Sclavi, Arte di ascoltare e mondi possibili, Le Vespe, Milano, 2000; p. 245]
L'operatore di pace entra, dunque, nel sistema a rete dei servizi sociali (in particolare nella loro attinenza alle funzioni di relazione, facilitazione, comunicazione, accompagnamento e mediazione), con la stessa ambizione portata dalle istanze della trasformazione dei conflitti in quanto fattore di convivenza multi-culturale: come mediatore della relazione tra pari, ancorché portatori di tutte le rispettive differenze, nonché come promotore dell'incontro di ciascuno e ciascuna con il mondo esterno (sia questo l'ambiente-welfare o, in senso lato, il contesto territoriale). Pertanto, agisce su due versanti: la “nozione di cultura” e le ipotesi della trasformazione.
Quando l'operatore di pace entra nel sistema del welfare (in particolare del welfare municipale) è anzitutto intermediario tra piani culturali diversi: sia che metta in relazione gli stakeholders e i destinatari con universi culturali “altri”, spesso percepiti come ostili, quando invece “alle porte di casa” e ben più disponibili all'accoglienza di quanto la cappa mortificante del pregiudizio lasci trapelare (è il caso delle culture Rom); sia che lavori per “facilitare” la comunicazione tra piani culturali pre-esistenti nel gruppo-obiettivo, favorendo il mutuo riconoscimento e l'ascolto reciproco (oltre che la conoscenza di mondi culturali supposti “nemici” solo perché “sconosciuti”):
l'operatore si attrezza per favorire non tanto la transizione da una cultura all'altra, quanto piuttosto la sintesi, laddove possibile, tra le culture, allo scopo di creare momenti pedagogici capaci di andare “oltre” le reciproche differenze; l'operatore, come mediatore culturale, ha il compito di tutelare che le comunità di appartenenza non vengano disperse, nonché di farle conoscere ai bambini italiani. [Cfr. D. Demetrio - G. Favaro, Bambini stranieri a scuola. Accoglienza e didattica interculturale nella scuola dell'infanzia e nella scuola elementare, La Nuova Italia, Firenze, 1997; p. 4]
Se tale è la “premessa”, allora la “proposta” nasce di conseguenza, nella cornice, qui delineata, della tutela delle specificità di provenienza e dell'intreccio tra percorsi relazionali attraverso cui far maturare conoscenza e reciprocità. E' molto interessante, a tal proposito, notare come alcuni compiti dell'operatore di pace siano propri tanto delle strategie di trasformazione dei conflitti quanto delle pratiche di intervento nel sistema integrato dei servizi a rete: in particolare, la facilitazione dei processi comunicativi e relazioni “peer-to-peer”, l'“advocacy” (in quanto azione di supporto) e l'“empowerment” (in quanto azione di rafforzamento).
Si tratta cioè di agire lungo tre assi: il primo, relativo alla promozione della fiducia tra i destinatari, in particolare quelli appartenenti alle diverse comunità etno-linguistiche, promuovendo l'approccio laboratoriale e sperimentale e mettendo a disposizione percorsi e strumenti relazionali alternativi, dalle simulazioni ai giochi di ruolo; il secondo, inerente la tutela e la promozione delle specificità culturali, sia in termini di “appropriazione” (rispetto al sé) sia di “condivisione” (rispetto all'altro da sé); il terzo, infine, orientato allo sviluppo dell'autonomia personale e relazionale di tutti i soggetti coinvolti (con specifico riferimento alle condizioni di marginalità, come quella dei diversabili o delle adolescenti di provenienza straniera).
E' lungo questo itinerario che è possibile conseguire l'obiettivo della mediazione dei conflitti in ambito sociale, che è cosa diversa dalla mera mediazione dei “conflitti sociali”, facendo propria una visione “relativistica” delle culture ed assecondando un «processo di trasformazione creativa delle relazioni sociali attraverso la costruzione e il riequilibrio di norme socialmente diffuse con e mediante la collaborazione delle parti stesse della relazione». [J.P. Folger - R.A. Bush, The promise of mediation, Jossey-Bass, S. Francisco CA, 1994; cit. in A. Aluffi Pentini, 1994].
Solo l'attiva sinergia di percorsi istituzionali e pratiche diffuse “a partire da sé” può infatti completare un itinerario esauriente di facilitazione alla consapevolezza interculturale, attivando processi e consolidando obiettivi.

Mediazione socio-sanitaria
Aspetto di grande rilievo, il terzo di quelli elencati poc'anzi, fa riferimento allo sviluppo dell'autonomia personale dei soggetti destinatari delle misure di programmazione e di intervento sociale. In tale ambito, una funzione decisiva è quella svolta dai presidi socio-sanitari tra cui, in particolare, le funzioni della cosiddetta mediazione, facilitazione ed assistenza socio-sanitaria. Sul territorio della V Municipalità, le funzioni di cura vengono garantite dalla rete dei “medici di famiglia”, dall'articolazione dei servizi offerti dal Distretto 47 della ASL NA1 e dalla presenza, sul territorio municipale, di tutti i principali presidi ospedalieri cittadini. I tassi di ospedalizzazione dei cittadini residenti nella Municipalità, anche per le fasce d'età più avanzate, sono tra i più bassi a Napoli.
Con qualche approssimazione si può convenire sul fatto che la rete istituzionale riesca a garantire prestazioni accettabili o quanto meno tali da non proporre chiavi di lettura emergenziali. Tra la V Municipalità ed il Distretto Sanitario 47 vanno rafforzati gli investimenti finalizzati alla programmazione integrata ricorrendo alle leve della formazione, della valorizzazione delle “prassi” di rete, della comunicazione. Di particolare suggestione, nonché aderente al profilo della cittadinanza della Municipalità, è il riferimento alle reti di solidarietà e di supporto sociale esistenti, di natura familiare, di vicinato e di comunità che si intende valorizzare. E' su quest'ultima sfera che possono insistere con particolare efficacia la rete territoriale delle parrocchie e, più in generale, le Associazioni che operano, anche solo su specifiche tematiche, sul territorio.
L'attenzione verso le forme di discriminazione che colpiscono le persone ammalate potrà essere sviluppata superando il “modello medico”, con specifiche iniziative a vantaggio dei cittadini anziani e non autosufficienti, dei bambini ospedalizzati, dei cittadini diversamente abili, puntando ad una “pari opportunità” effettiva che superi ogni forma di discriminazione e di “violazione dei diritti umani”, tale essendo ogni forma di discriminazione lesiva della dignità, della soggettività e dell'autonomia della persona.
Il territorio della V Municipalità ospita l'Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale Santobono/Pausilipon, unico centro pediatrico di riferimento per l'utenza cittadina, periferica, regionale ed inter-regionale del Mezzogiorno. Inoltre, presso l'Ospedale Cardarelli sono ubicati vari reparti di pediatria, anch'essi di rilievo regionale. L'ospedale Santobono, con il Pronto Soccorso, le Unità Intensive e di Emergenza - Urgenza, è ubicato a pochi metri dalle stazioni della Metropolitana e dalle uscite della Tangenziale; questa condizione ne facilita la fruibilità sia per i cittadini napoletani sia per gli utenti di provenienza extraurbana e regionale. La sua capacità ricettiva è stata rilevata, per gli ingressi di ricovero a vario titolo e per utenti di età compresa tra 0 e 16 anni, in numero di 34.732 dimessi in un anno, con una degenza media di 3,6 giorni di permanenza ospedaliera (dati ARSAN settore C.R.E.D., 2004).
Di particolare rilievo risulta l'esperienza della scuola in ospedale, ma possono essere sviluppate altre esperienze pilota per garantire il recupero scolastico per bambini lungo-degenti, anche ricorrendo a forme di interventi domiciliari ed avvalendosi delle risorse del territorio descritte nella sezione “comunità educante” del PLISS. Inoltre, nell'ambito ospedaliero interagiscono la più importante organizzazione di volontariato del settore, ABIO e, negli ultimi anni, la consolidata esperienza di “comico terapia” promossa dall'Associazione “ridi che ti passa”.
Area ospedalizzazione infantile
Obiettivo primario di ABIO è quello di favorire il diffondersi di gruppi dedicati in tutte le città italiane affinché tutti i bambini ricoverati in ospedale possano essere aiutati dall'opera dei volontari, attraverso misure di:
• accoglienza al momento del ricovero e facilitazione dell'inserimento in reparto;
• assistenza durante le visite ambulatoriali, intrattenimento ed accompagnamento;
• collaborazione col personale sanitario per la preparazione del/la bambino/a alle varie procedure terapeutiche (iniezioni, radiografie, interventi chirurgici, etc.)
• fruibilità child-oriented dei reparti mediante decorazioni e arredi;
• continuità di una presenza rassicurante in assenza dei genitori o altri familiari.
Nei confronti dei genitori, le misure messe in opera prevedono:
• sdrammatizzazione della malattia del bambino ascoltando i problemi dei genitori ed offrendosi come “tramite”;
• informazioni sul comportamento da tenere e le norme da rispettare nell'interesse di tutti;
• informazioni su servizi, supporti ed agevolazioni di cui possono usufruire;
• continuità di una presenza amica accanto al/la bambino/a, permettendo al genitore di assentarsi serenamente.
Dalle sale di attesa ai locali comuni, dalle corsie alle ludoteche, l'attività è rivolta all'umanizzazione dell'ambiente con l'assistenza ludica per i bambini e di supporto per i genitori. Non è solo con il gioco che i volontari rendono l'ospedale un luogo meno carico di paure e preoccupazioni: attraverso la collaborazione con ulteriori soggetti sostenitori è stato possibile allestire i reparti con murales, ludoteche e arredi colorati per rendere più familiari i locali ospedalieri.
Esperienza consolidata, ma da sviluppare ed approfondire, sul territorio municipale, la gelotologia (più comunemente nota come “comico-terapia”) è la disciplina che studia la relazione tra il ridere e la salute. Questa nuova modalità di prevenzione e terapia, ampiamente diffusa, ormai, anche il Italia, prende le mosse dai più recenti studi di Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia (PNEI) e tende a ricercare, sperimentare ed applicare modalità relazionali che, coinvolgendo positivamente l'emotività della persona, attraverso complessi meccanismi neuro-endocrini, ne migliorino l'equilibrio immunitario e le abilità psico-relazionali. Nell'ambito di una comunità, come ad esempio un ospedale, una scuola, una qualsiasi comunità ospitante, l'approccio gelotologico incide sulle aspettative ed i vissuti di utenti e personale ed è in grado di migliorare l'efficienza complessiva della struttura.
Gli studi condotti nell'ambito della P.N.E.I. mostrano che i bambini ma anche gli adulti ospedalizzati che usufruiscono di un adeguato supporto ludico e comico-terapico producono più facilmente mediatori chimici endogeni (endorfina, serotonina etc.); l'attivazione spontanea di questi importanti agenti ha un effetto immediato: la muscolatura si rilassa, diminuisce l'intensità del dolore e si potenziano naturalmente le difese immunitarie. Questo approccio scientifico consente pertanto di valutare con maggiore esattezza l'efficacia salutare delle emozioni positive. Inoltre, lo studio delle emozioni, la definizione delle aree cerebrali interessate e la loro connessione con il sistema dello stress e con l'immunità, fornisce la base scientifica per chiudere la storica contrapposizione tra mente e corpo, offrendo un contributo deciso non solo all'ambito della mediazione socio-sanitaria e socio-assistenziale ma anche alla maturazione di “lezioni apprese” e buone prassi” spendibili in altri contesti sociali e relazionali.
Area gelotologica e clown-terapia
Il clown è una figura ancestrale e trans-culturale che si perde nella notte dei tempi, che si trova in tutte le culture, che ha la capacità di ridere di sé, della proprie disgrazie, che non si lascia sopraffare dagli eventi della vita. E' l'aria fresca della vita che si dispone al centro “della pista” per far ridere della sua ignoranza e semplicità. Il clown parte dal presupposto che “nel” gioco e “mediante” il gioco i/le bambini/e riproducano la realtà del mondo adulto, creando la loro realtà e gettando un ponte verso l'affascinante, a volte “pauroso”, mondo che li circonda. Per i bambini, infatti, il gioco è una preparazione-partecipazione alla vita reale, una dimensione dove non bisogna dimostrare di “saper fare”, perché l'interessante è “esserci”. Il gioco diverte, dà pace e buon umore, sia a chi guarda sia a sé stessi, crea complicità, disponibilità, fa nascere una relazione ed una fiducia. Attraverso la relazione ci si può per gioco “calare” in una situazione di vita, di malattia o di disagio, permettendo alla nostra umanità di esprimersi favorendo la comunicazione, il passaggio delle emozioni, reinventando la realtà.
La risata è un ottimo antidoto a tristezza e depressione, perché, essendo lo spazio più breve del dialogo tra due persone, crea un contatto, determina un vero e proprio “massaggio interno”, l'aumento di endorfine e, quindi, il rilassamento psicofisico. E' attraverso il gioco che i bambini entrano in relazione con gli altri e con il contesto circostante facendo sì che gli atteggiamenti mentali, fisici ed affettivi superino la staticità e si muovano verso la crescita “della persona” ed il conseguente “cambiamento della realtà” in cui vivono. La scarsità del “tempo di gioco” o degli “spazi del gioco” può essere la causa di disturbi allo sviluppo, di difficoltà di concentrazione, di stress, etc. e questo aspetto interroga fortemente lo sviluppo di politiche pubbliche di programmazione ed intervento sociale.
È sempre più frequente, ai giorni nostri, vedere come non solo in ambito educativo, ma anche e soprattutto in contesti dove il disagio sociale è molto forte, si cerchi di trovare una strada “alternativa” per entrare in comunicazione e relazionarsi con tale disagio. Nasce così la necessità di utilizzare linguaggi diversi da quello orale per andare alla fonte di problemi che hanno radici molto profonde. Quando la comunicazione verbale non basta e soprattutto non crea quei legami che dovrebbero portare ad una comunicazione efficace con l'altro, si ricorre ai linguaggi non verbali, come approccio che può essere l'unica via per creare dei ponti, delle relazioni. Lavorando “sul corpo” attraverso le tecniche del teatro dell'oppresso, dell'improvvisazione e del gioco, nonché adottando tecniche più specifiche come quelle della giocoleria, si ottengono risultati che sarebbero impossibili usando mezzi più comuni, come p.e. il dialogo con gli educatori della struttura o le sedute con lo psicologo. L'efficacia di tali presidi infatti non esaurisce le potenzialità espressive offerte da attività creative e/o artistiche; le due modalità espressive, razionale e irrazionale, logica e creativa, dovrebbero anzi affiancarsi, integrandosi e aiutandosi vicendevolmente.
Molti sono i laboratori da effettuarsi nelle scuole a partire dalle scuole primarie fino alle scuole secondarie di secondo grado, laboratori per adulti, per operatori scolastici, per animatori e soprattutto laboratori teatrali nelle situazioni di disagio sociale, come possono essere i centri per ragazzi con problematiche famigliari, problemi legati ai disturbi alimentari, fino ad arrivare alle situazioni più estreme come quella degli affidi o del carcere. Tale gamma di problemi impone di mettere in relazione pratiche di accompagnamento e superamento del disagio, con pratiche di costruzione della fiducia e mediazione sociale. Altro indirizzo utile al contrasto dei fenomeni di disgregazione sociale dati dal nomadismo territoriale, tanto in relazione alla soggettività infantile e giovanile, quanto, per altri versi, alla soggettività nomadica e migrante, è quello di concentrare presso le piazze più frequentate del nostro territorio, spettacoli e performance di improvvisazione teatrale con i clown e gli artisti di strada. Tale pratica consente di creare una spontanea aggregazione tra soggetti diversi, la possibilità di sviluppare empatia,l'occasione di promuovere vere e proprie occasioni di incontro e di conoscenza, nell'ottica della solidarietà e del dialogo, in una parola, della costruzione di una società prospetticamente inter-culturale e trans-culturale.
La performance generalmente comincia con l'arrivo dell'”Unità Immobile” con altoparlanti e musica diffusa; il clown annuncia lo spettacolo che si terrà di lì a poco pronunciandone il titolo; talvolta lo show potrà servire a veicolare informazioni utili ai cittadini nello stile del “giullare/araldo”. Il “Pronto soccorso clown” nasce per risolvere le situazioni impossibili, laddove Polizia, Guardia Medica, Vigili del Fuoco, per limiti intrinseci alla loro natura, costituzione e “modus operandi”, non possono far nulla. Tipicamente agiscono: ripulendo la strada e le persone da oggetti e pensieri pesanti, abbracciando, citofonando e prescrivendo terapie immaginifiche a base di coccole e attenzioni per l'anima. Si comincia da un quartiere e successivamente si invade tutta la città. In questo, l'attivazione istituzionale sullo spazio sociale della V Municipalità potrebbe costituire un “intervento pilota”, segnalando l'adozione di tale “buona prassi” anche alle altre istanze del decentramento municipale della città di Napoli.
Area salute mentale
Una segnalazione specifica, per la sua attinenza al complesso delle tematiche qui delineate, va fatta alla questione della salute e del disagio mentale. Gli utenti della città di Napoli, ufficialmente in carico nel 2005, sono stati 21.646 di cui 17.720 già in trattamento prima del 2005 e 3.926 nuovi utenti su un bacino d'utenza di 1.004.500 abitanti. Quelli in carico della V Municipalità sono in numero indice tra i più esigui della città. Le classi d'età presentano una omogeneità di distribuzione nelle Municipalità evidenziando un addensamento significativo nella fascia d'età 50 - 64 anni seguita da quella 30 - 39 anni che è, tra l'altro, ben rappresentata sul nostro territorio. La maggior parte degli utenti delle Unità Operative risulta essere coniugato o celibe/nubile, rispettivamente con il 47% e il 34%. Nella V Municipalità risulta essere più rilevante della media cittadina la categoria dei separati e divorziati (25 %).
Titolo di studio e condizione lavorativa sono in linea con il profilo di comunità generale ma offrono alcune specificità sul territorio della V Municipalità. Gli utenti per la gran parte vivono in famiglia (74,8% nella famiglia acquisita e il 18,0% in quella d'origine) il 6,8% degli utenti vivono da soli ed è praticamente irrilevante il dato relativo a soggetti istituzionalizzati. Gli elementi descrittivi del contesto sollecitano interventi mirati al sostegno alle famiglie, alla predisposizione di occasioni di facilitazione, mediazione e di costruzione di relazioni solidali ed alla possibilità di garantire agli ammalati di mente, nei limiti del possibile, di continuare ad abitare nel proprio contesto familiare. Problematica in questa sede “accennata”, ma che dovrà essere motivo di uno specifico progetto, anche sperimentale, riguarda la possibilità di agevolare l'accesso ad opportunità formative e lavorative.

Mediazione interculturale
Alla luce di queste indicazioni, come ogni processo di mediazione interculturale reale, il sistema, complessivamente inteso, delle politiche sociali non può non prestare attenzione ai processi di discriminazione che colpiscono le persone in condizione di marginalità, esclusione e potenziale devianza, a partire dai giovani e dagli immigrati, nonché a tutte le situazioni in cui l'elaborazione di stereotipi negativi assolve di fatto una funzione difensiva (auto-protettiva) rispetto ad una diversità potenzialmente feconda eppure vissuta come minaccia per sé e per l'ordine sociale.
L'approccio alla diversità, in generale, non ha ancora definitivamente superato un astratto “sociologismo”, che vede la diversità come una specificità problematica della persona, eventualmente causata da condizioni personali e sociali immaginate come assolutorie rispetto al sistema delle responsabilità civili complessivamente intese, a partire da quelle del tessuto economico e degli attori istituzionali. Va, dunque, ribadito che la qualità della vita di tali soggetti non dipende esclusivamente dalla condizione soggettiva della persona bensì dal livello di inclusione della società che la accoglie e delle risorse che l'autorità pubblica mette a disposizione.
A partire da tali premesse, le azioni volte a garantire la possibilità di fruire degli spazi di vita e di relazione da parte di tutti i cittadini si configurano sempre più come attività di rispetto dei diritti umani, diritti imprescindibili dal momento che non si legano allo status di cittadino ma a quello di persona. Per quanto riguarda la popolazione straniera, va evidenziato che i rischi di esclusione/discriminazione tendono ad aggravarsi nella società contemporanea specie in un territorio mediamente benestante eppure contraddittorio come quello della città collinare di Napoli, dove accanto all'aumento dei flussi migratori si sperimenta sempre più un deterioramento della relazione tra inclusi ed esclusi, il cui segnale più forte è la richiesta da parte degli inclusi di “sicurezza”.
La questione diventa, dunque, quella di individuare azioni e percorsi volti a favorire la convivenza sociale e la riduzione dei conflitti attraverso il riconoscimento e la gestione della diversità, sostenendo la possibilità di conciliare la diversità culturale e identitaria con la coesione e modelli di convivenza sociale sostenibile. La promozione della reciproca conoscenza e la valorizzazione dell'incontro e del dialogo tra differenti patrimoni cognitivi ed emotivi (possibili mediante l'esercizio di un'applicazione personale e sociale al “decentramento cognitivo ed emotivo” o, per lo meno, alla presa di consapevolezza della propria stessa “centratura etnica” o “etnocentrismo”) costituiscono senz'altro il percorso più efficace per giungere alla costruzione di una società multi-etnica e multi-culturale, nella quale i diversi elementi non solo convivono, ma concorrono alla crescita comune.
Da questo punto di vista, pertanto, l'esigenza sentita dagli stakeholders è quella di predisporre strumenti di mediazione, individuare luoghi di espressione, relazione e condivisione ed attivare misure volte all'accompagnamento protettivo, alla fruizione dei servizi sociali e all'esigibilità dei diritti di cittadinanza. La ricaduta locale di questa impostazione consentirebbe, per la prima volta in Italia su questa scala, di implementare alcune tra le “buone prassi” messe a disposizione da iniziative assai significative attive all'estero (in procinto di implementazione anche in Italia mediante il progetto-pilota di Servizi Civili di Pace a Castelvolturno [Caserta] degli “Operatori di Pace - Campania” sostenuto dalla Regione Campania).
Esistono vari esempi, soprattutto statunitensi, di programmi di mediazione socio-culturale. A San Francisco il c.d. Community Board Programme ha coinvolto diversi quartieri cittadini. A livello formativo si contano più di mille persone “instradate” nei programmi alternativi di risoluzione dei conflitti, reclutati nei rispettivi quartieri e formati con stage specialistici. Il programma si avvale di un forte lavoro preventivo perché, laddove sarebbe impensabile l'intervento giuridico - penale, si interviene lavorando al superamento dei fattori critici di costruzione del conflitto.
In Europa, la Francia ha sviluppato una tipologia "locale" di mediazione comunitaria, le c.d. Boutiques de Droit che, nate in alcuni quartieri periferici di Lione, applicano i principi della mediazione sociale. Alla base della loro azione, vi è l'idea che il contesto locale sia il luogo più individuabile in cui i conflitti quotidiani possono giungere a provocare disordini che possono, a loro volta, facilmente subire una “legittimazione” pericolosa. Vi è dunque una spiccata sensibilità per le minacce che provengono dalle condizioni di degrado e sulla base di questa coscienza il lavoro di mediazione sociale interviene nella ricostruzione dei luoghi di socializzazione negli spazi "svantaggiati".

Mediazione sociale
Chiaramente, l'aspetto inerente la mediazione interculturale è solo uno dei due corni del problema, l'altro essendo costituito dalla fattispecie della “mediazione sociale”. Quest'ultima non fa solo riferimento alla possibilità di facilitazione al dialogo nei contesti sociali, al fine di inibire la conflittualità e aumentare l'area della sicurezza con strumenti democratici, bensì specificamente si ricollega all'area dell'integrazione sociale, provando a sperimentare, nel quadro dell'integrazione socio-culturale, percorsi effettivi ed efficaci onde consolidare le “azioni pilota” in “buone prassi”. La sostenibilità di tali misure si basa su due requisiti, a loro volta articolati in cinque elementi:
a. l'adozione di una strategia di intervento su richiesta, condivisa con le associazioni responsabili dei comparti locali di implementazione, a valere di una mappatura di contesto/problemi/bisogni dei soggetti destinatari;
b. l'adozione di una metodologia che, puntando alla minimizzazione dell'effetto-impatto e potenziando la ricaduta positiva a livello locale (metodologia “do-no-harm”), risulti aderente con il contesto-target (ownership).
I 5 elementi sono:
1. il modello di “intervento civile”, in quanto l'azione di polizia per l'integrazione di immigrati e la “pacificazione” delle relazioni sociali, specie nel caso connesso alla devianza giovanile, se può servire a fornire una risposta immediata all'esigenza di “sicurezza”, non corrisponde all'obiettivo di una duratura integrazione socio-culturale;
2. l'approccio alla trasformazione costruttiva, con metodi improntati alla nonviolenza, è l'unico che può garantire un'effettiva trasformazione delle relazioni sociali, e, di conseguenza, una soluzione duratura della conflittualità locale, favorendo percorsi di mutuo riconoscimento, de-costruzione di stereotipi e “reciproca integrazione”;
3. il processo di “acculturazione” che fonda la logica dell'“assimilazione” va sostituito con un processo di “ibridazione” capace di fondare la logica della “società interculturale”, in modo che alla passiva ricezione di una proposta socio-culturale statica (il multi-culturalismo inteso come giustapposizione di istanze culturali) possa sostituirsi una strategia dinamica, basata sulla valorizzazione delle esperienze culturali originarie, le sperimentazioni di percorsi di reciproca accoglienza e la valorizzazione della “messa in comune”;
4. la “mediazione di pace” è assunta come ambito dell'azione degli attori civili di pace e degli operatori del Terzo Settore - in questo caso a livello locale (micro-conflitto e meso-conflitto) - e come vettore per la costruzione di spazi di reciprocità interculturale e rivendicazione di diritti, a partire dai soggetti marginali, quali, appunto, i migranti;
5. la sperimentazione-pilota di approcci e metodologie alternativi ed efficaci basate sulle migliori pratiche attivate a livello internazionale in specifici contesti, in cui la sfida è quella di valorizzare il contenuto “sociale”.
Indice degli Argomenti
Inquadramento istituzionale
Condizione giovanile
Fabbisogni sociali
Principi ispiratori
Nomadismo metropolitano
Fiducia civica
Trasformazione sociale
Mediazione socio-sanitaria
Mediazione inter-culturale
Mediazione sociale